Post-Crash, la Matematica non è un Reato

Quanti studenti di economia, trascorrendo nottate su grafici e libri che spiegano formule, funzioni ed enunciati si sono chiesti il perché di tanta fatica, quanti si sono voltati e rivoltati nel letto la notte prima dell’esame di matematica, e quanti ancora avrebbero preferito leggere un bel manuale di filosofia economica, i cui unici numeri si trovano agli angoli per ordinare le pagine?

Ebbene, Alcuni studenti dell’università di Manchester, nel momento esatto in cui stavano per premere il grilletto con la pistola puntata alla tempia, si sono guardati negli occhi, hanno abbassato il braccio e si sono detti: “ragazzi facciamo una bella associazione, che magari salviamo qualcun altro, e poi forse rivoluzioniamo lo studio dell’economia a livello mondiale”.
Questi quattro tipi dopo aver partecipato ad una conferenza tenuta nella loro università dalla Bank of England il cui titolo recitava “Are Economics Graduates Fit for Purpose?”, hanno deciso di fondare la Post–Crash Economics Society, associazione studentesca portavoce di coloro i quali sostengono che i programmi di studio odierni non preparino le giovani menti ad affrontare la realtà economica attuale, con evidenti ripercussioni a livello globale. I nostri colleghi si sono impegnati ed hanno scritto un bel report di 60 pagine nel quale, presi dall’entusiasmo, hanno scritto un sacco di cose simpatiche ed interessanti. Ma bando alle ciance, vediamo di cosa si tratta.

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Il punto cruciale dell’analisi degli studenti di Manchester riguarda l’utilità dello studio dell’economia neoclassica. Nel report si legge infatti che i syllabus universitari sembrano monopolizzati da una singola scuola di pensiero, senza lasciar spazio all’analisi di altre teorie. Uno dei punti a favore, che possiamo trovare bene in vista anche sulle pagine del sito, è il fatto che nessuno degli economisti con una formazione simile sia riuscito a predire la crisi finanziaria, il che è vero, ma prima di sottolineare quanto sia intelligente questo punto, conserviamo le nostre energie per guardarlo più a fondo di quanto abbiano fatto loro. Quando mi sono iscritto ad economia sinceramente non pensavo di diventare un medium e imparare a predire eventuali crisi o shock di mercato.

Scorrendo le pagine si legge che al mondo d’oggi non si riescono a cogliere i limiti dell’economia, che gli economisti spesso si comportano come degli sbruffoni sostenendo di sapere tutto. Allora può essere che qualcuno la crisi l’abbia predetta, ma era uno sbruffone, l’hanno mandato a casa. I moduli di micro e macroeconomia secondo la Post-Crash si soffermano esclusivamente sullo studio della teoria, senza analizzarne l’applicazione o gli sviluppi moderni. Un po’ come studiare la fisica al liceo, quando non sai che nel novecento sono arrivati dei signori che hanno detto che la legge gravitazionale (lo studente non sapeva fosse stata scoperta da Newton nell’ambito della fisica classica del milleseicento), è sbagliata. Sono parzialmente d’accordo, sarebbe utile considerare gli sviluppi, ma è anche vero che fortunatamente non ci limitiamo a studiare la formula, ma la testiamo matematicamente grazie a modelli semplificati più vicini alla nostra portata di studenti. Sinceramente mi sembra il modo giusto di mettere il naso fuori dalla finestra nei primi esami. Non dimentichiamo poi che spesso gli economisti più moderni hanno guardato a situazioni particolari, e non hanno scandito teorie generali come i loro predecessori, di qui la necessità dello studio di quest’ultimi in modo sistematico per comprendere a pieno la metodologia di analisi economica, tempo a mio avviso impiegato in modo più che utile. Si può essere d’accordo o no, ma non è difficile comprendere che la loro non possa essere considerata una motivazione valida. Non è inoltre ben chiara la soluzione proposta nel report, che io vi spiegherei sommariamente in questo modo: “studiamo più modelli e applichiamoli tutti insieme, sicuro così non sbagliamo”.

Il secondo punto del report concerne la mancanza di una massiccia preparazione in materie quali: storia dell’economia, storia del pensiero economico, storia generale, etica, politica. Insomma, ai nostri amici non interessa molto avere un approccio quantitativo, sostenendo inoltre che il mancato insegnamento delle suddette materie porti ad un allontanamento dell’economista dalla realtà. E’ chiaro che per la formazione di una persona completa queste conoscenze siano più che utili, sono il primo ad essere interessato, ma dobbiamo fare attenzione a non cadere in errore. L’economia è una scienza sociale, ed è ben diversa dalle discipline che si occupano di fare valutazioni qualitative, come la filosofia ad esempio. Come è sostenuto giustamente nel report, non è un caso che Keynes abbia pensato quelle belle cose durante la depressione, così come è evidente che l’economia dei pescatori del tremila avanti Cristo sia diversa da quella dell’Europa del milleottocento. E’ altresì comprensibile che giovani studenti come me si sentano preparati ad eseguire solamente analisi quantitative, senza la possibilità di dare giudizi di valore o cercare di capire cosa è “giusto “o “sbagliato “. Ma queste sono motivazioni labili e giustificano una presa di posizione che non a caso è sostenuta in 5 righe, nonostante sia uno dei cavalli di battaglia della Post-Crash. Dimostrerò la fallacia della più che riduttiva analisi con un esempio semplice: durante la lezione di meccanica, dopo aver risolto il problema di due macchine che viaggiano a duecento chilometri orari una verso l’altra, lo studente non si chiede se la collisione tra i due corpi sia un fatto buono o cattivo, è semplicemente un fatto. Ci aspettiamo professori che ci dicano che il monopolio è cattivo perché sottrae benessere alla società? Io no, preferisco scoprirlo da solo se il monopolio è un “bene” o un “male” (questione questa poi che rimanda a problemi di altro tipo).

Questo ovviamente non significa che lo studio scientifico sia una forma di abbandono della coscienza. Proprio per non fuggire l’analisi di quella che è una realtà piena di problemi nella quale i dati forniti sono spesso mal interpretati è importante essere in grado di compiere un’attenta sintesi degli stessi, senza cadere in errori, senza ricondurli a mere ideologie o sistemi di pensiero, ma perseguendo idee e utilizzando sistemi che solo dopo aver imparato a strutturare attraverso lo studio di quelli accademici saremmo in grado di elaborare. Non è che noi ci si diverta a massimizzare sempre il solito guadagno, non ci va di essere visti come quelli che ricercano solo un utilità pecuniaria, studiamo economia per organizzare le risorse scarse, ci possono interessare la storia o la filosofia, ma concentriamoci prima su quello che abbiamo scelto di studiare, senza cominciare con i giudizi di valore.
L’ultimo punto che analizzerò è strettamente collegato al precedente. Gli studenti di Manchester concludono nel loro report: “ insomma, tutta sta roba che ho studiato, a che serve nella vita reale? “, ovvero, che attinenza ha lo studio della matematica e dei modelli economici con la realtà? Perché non possiamo comprendere pragmaticamente le soluzioni, grazie ad esempio agli accadimenti storici in ambito economico, ma invece soffermarci su metodologie deduttive? Perché dopo aver preso una laurea in economia spero di aver acquisito prima di tutto una capacità di analisi, di riuscire a interpretare dati, numeri, informazioni storiche grazie allo studio approfondito dei modelli che tentano di descrivere la realtà quantitativamente, con quel geniale linguaggio della realtà che è la matematica.

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Mi spiegherò meglio prendendo in considerazione ciò che è scritto nel report a riguardo, dove è sottolineata una certa somiglianza tra un modello fisico ed un modello economico. Gli ingegneri sanno quali gas sono approssimativamente identificabili con i gas perfetti, per questo saranno in grado di interpretare il loro studio applicandolo in modo tale che si avvicini il più possibile alla realtà. Chiaramente non succederà mai che un gas ad un certo punto decida di comportarsi in modo diverso, al massimo può essere che il modello fisico abbia precedentemente considerato dati non aderenti alla realtà, ma di certo non sarà l’atomo di idrogeno a svegliarsi al mattino e dire: “Bella! Oggi vado al negozio per comprarmi un altro elettrone ganzo, che sono stanco di fare a metà con quella bischero dell’ossigeno”. Per quanto riguarda i modelli economici è chiaro che non sia così. Di certo non si agisce tutti secondo il principio di non sazietà, tantomeno secondo una razionalità perfetta e inattaccabile, la libera scelta e l’umanità dell’individuo glielo impediscono. Allora è una perdita di tempo studiare l’oligopolio di Cournot che gli economisti inglesi citano nel loro scritto? Beh se tanto è assodato che ognuno agisce a caso, che senso ha studiare un modello che non ha niente a che fare con la realtà? Se tutti la pensassimo così è chiaro che le scienze umane non esisterebbero, la motivazione data è più che fallace. E’ chiaro che i modelli dell’economia classica non siano perfetti, altrimenti potremmo sapere in ogni caso cosa accadrà nel futuro con la stessa sicurezza grazie alla quale sappiamo che i sassi cadono. I modelli hanno una parziale rilevanza empirica perché chi li ha descritti è stato analitico, ha valutato una metodologia e ha rielaborato le informazioni in modo coerente, ed è questo il valore di un modello. La metodologia, la capacità di analisi, le interpretazioni dei dati, questo dovrebbe fare uno scienziato, naturale o economico che sia.  Sfido chiunque a passare la vita a cercare dati statistici, informazioni storiche e a studiare casi ed esperimenti senza ricondurre il tutto ad un modello o una teoria, neoclassica o innovativa che sia. Certo, chi studia sul libro prende trenta e non guarda fuori dalla finestra non sarà mai in grado di avere una visione critica, ma questo vale per qualsiasi tipo di studi e non sarà di certo una rivoluzione ideologica a mettere sullo stesso piano uno studente arido da uno sveglio e osservatore.

L’etica, la storia, la politica, sono argomenti interessanti, ed hanno un punto di incontro con l’economia, ma non sono le scienze il cui obiettivo è prendere la scelta migliore, possono essere contingenti, ma non il programma di studi. I nostri coetanei inglesi vanno premiati per l’essere andati contro corrente ed aver sostenuto con gran fervore la necessità di un cambiamento di cui non si discute la necessità, gli studenti devono essere incitati a guardare le cose in modo diverso, ad avere più punti di vista, ma non si può insegnare tutto.

Enrico Salonia

22 thoughts on “Post-Crash, la Matematica non è un Reato

  1. Aggiungerei un paio di cose: l’ impressione che ho avuto dalla lettura del manifesto degli studenti di Manchester è che si parta dalla convinzione (errata) che l’ inadeguatezza delle politiche economiche attuali sia il diretto risultato del particolare approccio metodologico alla disciplina (“Perfino la Regina ha chiesto ai professori della LSE perché nessuno avesse visto arrivare la crisi. Ora, dopo cinque anni, dopo un bailout bancario costato centinaia di miliardi, la disoccupazione che raggiunge i 2,7 milioni di persone e il crollo de salari, i programmi di studio di economia rimangono immutati”). In più, mi sembra che questa “fine del monopolio della teoria neoclassica” tanto invocata in nome del pluralismo non farebbe altro che rendere l’ insegnamento della disciplina ancora meno serio di quanto già non sia, e contaminato dall’ ideologia. Quale ideologia? Per dire, qui ci si lamenta del fatto che scuole di pensiero come quella post-keynesiana, austriaca, istituzionale, marxista, evoluzionista, ecologica o femminista (sì, avete letto bene, evoluzionista ecologica o femminista) vengano considerate irrilevanti per le scienze economiche. Così, messe tutte sullo stesso piano. Per non parlare della proposta di inserire corsi di etica per economisti nei syllabus universitari , che “dato il ruolo degli economisti nella società e la loro influenza sulle decisioni di interesse pubblico, le conseguenze etiche della teoria economica e l’ etica dell’ essere economisti sono una parte ESSENZIALE dell’ educazione economica”. L’ etica che si sposi meglio con l’ ideologia di chi, esattamente? Detto questo, mi sembra chiaro che la rilevanza mediatica data alle dichiarazioni programmatiche della PCES risponda più a logiche di carattere politico che alla rilevanza accademica delle loro obiezioni (quanto sono in buona fede i professori che hanno firmato l’ appello?).

    • Sono d’accordo, a questo punto gli esami di un corso di economia potrebbero essere costituiti esclusivamente da verifiche sulle diverse ideologie, in modo tale da far sembrare che si metta tutto sullo stesso piano, non si escluda nessuno, e si lasci la libertà dello studente di scegliere. Inutile dire che sarebbe un bel pastrocchio che, come dici tu, renderebbe ridicolo un percorso di studi che comunque andrebbe rinnovato. Per quanto concerne l’etica il problema è chiaro, l’etica di chi? Già ritengo personalmente che se un’economista guardasse ai risvolti etici delle sue azioni in modo fisso e maniacale senza aprirsi fallirebbe nel suo impegno, ma come ho scritto nell’articolo questo è un’altro argomento di dimensioni astronomiche che probabilmente è il caso di trattar singolarmente.

  2. “L’economia è una scienza sociale, ed è ben diversa dalle discipline che si occupano di fare valutazioni qualitative, come la filosofia ad esempio”.

    Proprio in quanto scienza sociale l’economia e’ piu’ vicina alla filosofia che non alla matematica…
    Datti una letta al discorso di Von Hayek alla cerimonia per la consegna del premio Nobel, e’ premonitore di una deriva matematica dell’economia che porta a ragionare SOLO in termini di modelli…non che questo sia sbagliato a livello assoluto, sed in medio stat virtus

  3. Proprio in quanto scienza, l’economia si discosta per molti tratti dalla filosofia, che aimhè, una scienza non è. Come leggerai sostengo nell’articolo che per l’interpretazione di un modello sia necessaria una bella testa, dotata di una grande capacità di analisi prima ancora della conoscenza accademica di un modello. Guarderò con piacere l’articolo di Von Hayek, io stesso leggo con molto piacere un saggio di filosofia, spesso con più soddisfazione di quella che mi darebbe un saggio economico. E’ vero che in medio stat virtus, ma bisogna stare attenti a non fare un guazzabuglio tra tutte le discipline possibili.

    • Mi pare di capire che il (tuo) problema sia mettere insieme elementi “quantitativi” con elementi di tipo valutativo, o in altri termini un’analisi “positiva” con un’analisi “normativa”. L’analisi neoclassica avrebbe il merito di rimanere positiva e rifuggire il giudizio di valore. La dimostrazione (matematica) che il libero mercato e’ il piü efficiente sistema allocativo di risorse ne e’ il cavallo di battaglia. Tuttavia, tale conclusione e’ macchiata da due punti non risolti e non risolvibili:
      – viene fuori da un approccio che non considera le implicazioni distributive. Per quanto possa essere reso complesso, si finisce sempre per considerare le imprese, lo stato, le famiglie come soggetti relativamente omogenei.
      – non si pone il problema della distribuzione delle opportunitä iniziali
      In sostanza, tutto l’apparato (di policy) neoclassico si basa su assunzioni di tale stampo che non sono mai state messe in discussione.
      Un modello non deve rappresentare la realtä fedelmente, ma deve esserne un’approssimazione ragionevole? Vero. Ma se da tali modelli derivano raccomandazioni di policy, il problema diventa serio.
      Tra l’altro, si potrebbe opinare che assumere soggetti ottimizzanti sia un’assunzione valutativa, che calcolare il benessere sociale cosi come e’ calcolato lo sia parimenti. Tutto ciö non e’ risolvibile, perche su tali assunzioni si basa la modellistica neoclassica.
      Come questo cozzi con altri settori dell’economia, quale l’economia dello sviluppo che indaga si la crescita, ma anche poverta’ e disuguaglianza NON necessariamente (e non prevalentemente) in ottica neoclassica, e’ evidente. Si potrebbe anche dire che, alla fine della fiera, tutto ciö sia stato funzionale all’economia capitalistica (e liberale) di mercato ed agli interessi dei soggetti dominanti. E questa non e’ etica, ma e’ politica. Leggere Soros (2008), ad esempio.

      Infine, due note:
      1)la matematica esiste al di lä della teoria neoclassica, la quale non ne e’ l’angelo custode.
      2) “Non fare un guazzabuglio tra tutte le discipline possibili”
      L’economia, quella neoclassica in particolare, e’ divenuta la disciplina che per eccellenza sconfina in ambiti altrui, e questa e’ abitudine diffusa tra i vari bocconiani liberali.

  4. non sono un economista, ma mi pare evidente che nell’articolo ci sia una incomprensione, anzi forse anche una mancanza di conoscenza addirittura minima della filosofia e …. della matematica.
    l’assunto è che la filosofia sarebbe una “scienza umana” e cioè a dire, par di capire, che manca di rigore. l’economia è invece una scienza (concreta, pratica … ?) di tipo differente: può avvalersi e si avvale della matematica e trae da questa la sua componente avalutativa, neutra, obiettiva … scientifica senza alcuna aggettivazione.
    si da tuttavia il caso che la filosofia ha a che fare col rigore (inteso come metodo e come esiti) e che la matematica degli economisti sia ben distante dalla matematica dei matematici. i modelli, del resto presuppongono una modellistica e qualsiasi modellistica implica delle scelte e le scelte hanno a che fare con la dimensione valutativa, e cioè con la dimensione estetica, etica, politica, e cioè a dire con la dimensione appunto economica.
    complicato da comprendere? può essere. dipende dal tipo di struementazione intellettuale a disposizione.
    un buon matematico sorride dei c.d. modelli matematici degli economisti e fa bene. sa che leggono al più dati già noti ma che cadono inesorabilmente non dico a ogni cambio di ordine paradigmatico, ma anche solo di intervento di variabili nuove, semmai solo transitorie.
    il politico, lo storico, il filosofo quelle variabili le vedono e le interpretano. l’economista “ciuccio” in storia e filosofia, quelle variabili non le vede e confida nel modello matematico.
    ma l’approccio “comprendente” è sempre storico.
    oramai si studia la storia anche per spiegarte la fisica e la matematica.
    ma l’economista non può farlo.
    no.
    perderebbe la tanto agognata “avalutatività” della scienza economica.
    si vergogna della natura complessa della sua disciplina.
    Poi vuole renderla a ogni costo masticabile anche dai ciucci come il cucco, dagli ignoranti ben addestrati, dagli asini svelti di calcolo. dagli studenti ben istruiti.
    la cultura non serve.
    anzi introduce elementi di corruzione e di valutazione addirittura pericolosi.
    ermeneutca, epistemologia, comprensione, cultura … che roba è ?

    • Mio buon Girolamo,
      Grazie per aver esordito sottolineando che non è un economista, sarebbe stato un problema. Dal suo profilo Facebook si evince che lei è un avvocato, il che porta alla inevitabile conclusione che di matematica probabilmente ne capisce molto meno di quanto le permetta di dire a chiunque altro che debba sopperire all’ignoranza in tale materia. Ma non mi spingo in questi giudizi, potrebbe essere anche un appassionato che ne sa molto, come io potrei essere un appassionato di filosofia, e quindi comprenderla molto più di quanto possa farlo lei. Questo giusto per risolvere l’attacco personale. La invito a citare i passi in cui affermo ciò che dice nel suo commento fino a ” alcuna aggettivazione “, credo ancora di possedere la capacità di comprendere ciò che io stesso ho scritto, e le assicuro che quello che lei critica non esiste. Le assicuro che matematica degli economisti è la stessa dei matematici. Quello che fa lei è un po’ come dire che la storia dei filosofi è diversa dalla storia degli storici, mi sembra sia la stessa no? Se ci sono persone che sostengono che esistano due tipi di matematica o due storie del mondo diverse ( chessò, una in cui ci sono i jedi invece dei cristiani ) me lo faccia sapere. Risulta chiaro che lei non abbia la più pallida idea di che cosa sia un modello economico. I matematici ridono dei modelli degli economisti? Urca, allora mi sa che tutti i matematici che hanno formulato modelli economici avevano i neuroni che giravano al contrario.
      In attesa di una risposta,
      L’autore dell’articolo

      • Io sono un “economista” (per quanto uno studente possa avere il coraggio di definirsi tale), e ho alcuni amici matematici (non solo studenti).

        E si: i matematici si fanno due risate davanti ai modelli economici, la critica più diffusa è sostanzialmente che l’economia si muove lentissima rispetto ai passi da gigante della matematica.

        Non serve alzare gli scudi a questa affermazione: matematica ed economia sono due cose diverse, e la seconda non può che essere costantemente dietro alla prima, per il semplice motivo che non ha alcun bisogno né di starne al passe né di superarla.

      • un mio amico insetgnante di “dendrometria” (studia l’accrescimento degli alberi e dei boschi utilizzando modelli statistici) e che frequenta molto la matematica me ne parla spesso con degli esempi precisi tutti particolarmenete evidenti, alcuni “gustosi”

        se ne occupa ad esempio questo autore (sotto c’è il link a uno stralcio legibile in rete)

        I vizi degli economisti, le virtù della borghesia
        Di Deirdre N. McCloskey

        http://books.google.it/books?id=3wuLBAAAQBAJ&pg=PT59&lpg=PT59&dq=matematica+degli+economisti+che+ne+pensano+i+matematici&source=bl&ots=_0KwnM85Ha&sig=344ux9sntCDB1cO-2x-xxsKHUuw&hl=it&sa=X&ei=tieAVI-rLaWR7AbKnoDQAQ&ved=0CCgQ6AEwAw#v=onepage&q=matematica%20degli%20economisti%20che%20ne%20pensano%20i%20matematici&f=false

        altra possibile fonte è anche questa

        http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/01/20/fabio-sabatini-istruzioni-per-salvare-leconomia-dagli-economisti/

        In ogni casso mi sorprende la sorpresa.
        l’economia opera su fattori estremamente complessi.
        è veramente molto meno complesso fare arrivare una navetta su un asteroide ad anni luce di distanza.
        Nello spazio le variabili sono di molto minori.

      • anche qui alcune considerazioni di buon senso.
        I matematici sono in ogni caso del tutto indifferenti alla eventuale utilità di un ragionamento matematico.
        l’economista invece non può prescinderne.
        ciò porta l’economista a piegare modelli matematici per ragioni pratiche e a farlo non per valutare i processi di polimerizzazione del cemento e la capacità di tenuta di una struttura in ferro e cemento (con variabili sostanzialmente note e comunque limitate) ma a farlo s dinamiche complesse per definizione.
        la matematica è utile ma è solo una parte, probabilmente neppure la più rilevante, della questione.
        un matematico geniale ma ignorante non fa danni, anzi rimane un matematico geniale.
        un economista bravo con le formule ma ignorante ne fa di danni, eccome.

        Se l’economia diventa matematica è sempre più difficile capire le crisi

      • Scusa Barbapapà, ma la conversazione sta prendendo una deviazione ridicola che non ha nulla a che fare con l’articolo a causa dell’incomprensione da parte tua dello stesso. Non ho mai parlato della situazione che descrivi tu nel secondo paragrafo del tuo commento, non mi interessa sapere cosa pensano i matematici dell’economia, non la commenterò, non era l’argomento del dibattito, in poche parole non c’entra nulla. Hai ragione, matematica ed economia sono due cose diverse, e questo è più chiaro della luce del sole, non ho mai voluto dimostrare che sono la stessa cosa, nessuno l’hai mai voluto perchè non ha senso, di qui anche la terza parte del tuo commento non ha senso. Prego chiunque commenti l’articolo di leggerlo e, nel caso in cui non sia stato abituato a farlo nel corso dei primi 6 anni di vita, prendere un foglio, scriverci sopra, e poi controllare i nessi logici di ciò che si ha scritto. Grazie.

      • Caro Enrico Mattia,

        l’articolo l’ho letto, e più di una volta. Il mio commento era pertinente non tanto all’articolo quanto piuttosto alla tua risposta a Girolamo.
        Risposta che era supponente, arrogante e imprecisa.
        Il secondo paragrafo era solo per ribattere alla tua “I matematici ridono dei modelli degli economisti?”. Io ho confermato che sì, ne ridono.
        Concordo che sia fuori tema rispetto all’articolo, ma non dare a me la colpa di questa deviazione dal seminato 😉

        Comunque, considerato come ti poni nelle tue risposte, direi che non vale la pena sprecare un altro mezzo minuto qui. Nei primi sei anni di solito si insegna anche l’educazione 🙂

        Bye bye, bocconianoliberale.

  5. “La dimostrazione (matematica) che il libero mercato e’ il piü efficiente sistema allocativo di risorse ne e’ il cavallo di battaglia”

    “[…] un approccio che non considera le implicazioni distributive”

    “[…] non si pone il problema della distribuzione delle opportunitä iniziali
    In sostanza, tutto l’apparato (di policy) neoclassico si basa su assunzioni di tale stampo che non sono mai state messe in discussione”

    Ma cosa dice? Ma di che sta parlando? Affermazioni semplicistiche e fuori contesto.

    Il corpus teorico-economico riconducibile entro il vasto perimetro dell’analisi economica neoclassica è andato oltre ciò che lei avrà certamente studiato nell’esame di Micro I. Quelli esercizi da settimana enigmistica per stimolare il cervello dei 19enni e dargli un’assaggio di cos’è la modellistica.

    Si vada a leggere la ricerca che si svolge oggi (non negli anni ’90) negli atenei di prestigio. Si legga i working paper di gente che fa macro e micro moderna.

    Anche perchè il punto dell’articolo, evidentemente poco chiaro ai commentatori, non è una strenua difesa del neoclassicismo, ma una sobria constatazione sulla necessità di combinare in maniera equilibrata la modellistica matematica e la capacità di analisi del contesto culturale, storico e sociale della realtà a cui il modello è applicato. Pacifico.

    Prey for economics.

    • “Ma cosa dice? Ma di che sta parlando? Affermazioni semplicistiche e fuori contesto.”

      Ne’ semplicistiche, ne’ fuori contesto. Solamente in una ventina di righe.
      La macro “moderna” e’ microfondata. Se non utilizzi quel tipo di approccio non sei considerato un macroeconomista. Un approccio che va certamente oltre quello che lei ha evidentemente brillantemente studiato in Micro I – io non ho avuto questo piacere -, ma sempre in quel tipo di approccio all’analisi del problema. Ed e’ quindi lei che non capisce. Non e’ l’esercizio da settimana enigmistica, ma il tipo di approccio, principalmente negli atenei di presitgio.
      E quello che traspare dall’articolo e’ ben diverso da quello che dice lei. Quello che traspare e’ che la giusta combinazione (e l’uso adeguato dello strumento matematico) sia prerogativa del neoclassismo, mentre le alternative sono soltanto derive normative incapaci di preservare la sobrieta’ neoclassica. Il che non e’ vero. Ed e’ anche pretenzioso e presuntuoso. Come il suo intervento.

      • Come ha detto Francesco, e lo ringrazio per questo, mi sembra chiaro che i commentatori, tra cui lei, non abbiano compreso il punto dell’articolo. Motivare che l’uso adeguato dello strumento matematico sia prerogativa del neoclassicismo non è un segreto per nessuno, non avevo nessuna intenzione di motivarlo, e non capisco cosa c’entri. Motivare che la giusta combinazione ( di cosa? ) sia prerogativa del neoclassicismo, non ha alcun significato. Mi scuso con tutti se non sono stato chiaro con l’articolo, e la prego di essere più preciso.

      • Se lei non ha avuto modo di studiare la microeconomia e la metodologia sottostante è evidentemente fuori luogo in questa conversazione, in cui si disquisisce, per l’appunto, di un approccio e una metodologia che per sua stessa ammissione non conosce.

        Forse è un po’ pretenzioso dare pareri autorevoli con queste premesse, non trova?

        Le suggerisco di migrare verso lidi a lei più familiari.

      • “Lei” ha problemi evidenti con il sarcasmo e l’ironia. Ed e’ davvero un peccato che “lei” non possa quindi apprezzarli !
        Dare del “lei” ed utilizzare parole altisonanti non cambia la sostanza del contenuto dell’articolo, ne’ dell’approccio neoclassico, ne’ dell’arroganza e della pochezza del “suo” intervento.
        Le suggerirei di non suggerire, ma sarebbe una contraddizione in termini.
        Migro !

  6. Pingback: Thinking before Re-thinking | iLbocconianoLiberaLe

  7. No, lei e’ stato chiarissimo. Il punto cruciale e’ che lei fa tre affermazioni, esplicitamente o implicitamente:
    – che l’economia non puo’ prescindere dalla matematica
    – che l’economia neoclassica e’ l’unica o la piu’ idonea ad applicare la matematica all’economia
    – che considerare storia, politica e societa’ comporta implicazioni valutative
    Da cui ne discende, piü o meno implicitamente, una quarta
    – che l’economica neoclassica e’ l’unica ad avere un approccio quantitativo e positivo, quindi non normativo
    IL problema e’ che ne’ il punto 2, ne’ il 3 e tantomeno il 4 sono veri. Come non e’ vero che le assunzioni neoclassiche siano avalutative e irrilevanti. Anche guardando ben al di lä di Micro I, nonostante ciö che il commentatore a suo sostegno possa dire (casualmente l’unico ad averLa compresa). Tra l’altro, quest’ultimo sostiene che lei proponga un uso proprio (o giusta combinazione) di approcci eteorgenei nello studio dell’economia. Tuttavia non e’ quello che lei esprime nel suo testo. Da li la mia risposta al commentatore in questione, il cui significato le sfuggiva.
    I punti 2-3-4 nel loro complesso sono pretenziosi e presuntuosi.

    Se poi, come pare lei sostenga, il suo articolo non e’ stato compreso, potrebbe fermarsi un momentino e rileggere cosa ha scritto, invece di invitare gli altri a prendere carta e penna presupponendo – un po’ come al punto 2 – che non l’abbiano mai fatto nel loro recente passato.

    Dare del Lei in un blog e’ davvero buffo, soprattutto per un “liberal”

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