Le Quattrocento Tasse

Francois Hollande

L’idea è molto semplice: i consumatori spendono cifre elevate (dell’ordine delle centinaia di euro) per l’acquisto di smartphone e tablet? Benissimo: tassiamoli! In ogni caso sono prezzi sufficientemente elevati da non limitarne il consumo.

Il lupo perde il pelo ma non il vizio: Monsieur le Président Holland, dopo la Google Tax e la proposta di una patrimoniale al 75%, ha incaricato una commissione (guidata da Pierre Lescure, noto giornalista e businessman d’oltralpe) che dovrà presentare un rapporto contente un piano per “finanziare la cultura”: dopo nove mesi di faticosa gestazione, lunedì scorso si è compiuto il (doloroso) parto.

Dal rapporto di Lescure e, più in generale, dalla forma mentis francese, si constata quanto sia forte la convinzione che la cultura possa essere rivitalizzata con il semplice apporto di capitale.
Prendiamo come esempio il settore cinematografico, certamente il comparto culturale più “commerciale” al giorno d’oggi: è credibile che la Francia pulluli di novelli François Truffaut, in attesa che l’elargizione ministeriale di moneta sonante li faccia conoscere al mondo? Improbabile. Si obietterà: sarebbe un gran successo se tra la miriade di artisti in erba si riuscisse a trovarne anche uno solo, di Truffaut! Ma qui sta il problema, che sfugge ai più: al promettente ambasciatore della “settima arte”, indirizzato verso Oscar e Golden Globe, si affiancherebbe una massa di artisti e produttori mediocri, nei cui lungometraggi l’État sperpera milioni di euro dei contribuenti transalpini: cosa che, puntualmente, si verifica da diverso tempo a questa parte. È mia convinzione personale che se qualche artista di talento esiste (e sono certo che esista), questi non avrà certo problemi, nel lungo periodo, ad emergere e a dimostrare le proprie qualità: perché quindi finanziare opere che per la maggioranza verranno ignorate, o quasi, dai cittadini francesi?

Si potrebbe inoltre disquisire su una questione ancora più profonda e generale: la legittimità del finanziamento statale alla cultura. Uno Stato che finanzia è, inevitabilmente, uno Stato che sceglie e parteggia. Ma lo Stato può veramente arrogarsi il diritto di indicarmi quale sia l’opera culturale che dovrei vedere? O il museo che dovrei visitare? O, ancora, il libro che dovrei leggere?
Inoltre, dal momento che per raggiungere lo scopo (finanziare la cultura) il legislatore altera i meccanismi di mercato attraverso una tassa (che peraltro colpisce gli strumenti che sempre più si elevano a mezzi di diffusione di cultura), esso di conseguenza indirizza le preferenze dei consumatori. Ancora una volta: è, questo, legittimo?
La domanda sorge spontanea: non ci sarà forse, insito nei burocrati transalpini, il timore che i “capolavori” nazionali non riescano a tenere il passo di quelli esteri? Il confronto con il cinema hollywoodiano è impietoso, sia dal punto di vista dei costi che della qualità. E allora ecco che subentra la proverbiale “grandeur” francese: non sia mai che un mercato altamente concorrenziale come quello della filmografia rischi di bocciare le mirabolanti produzioni domestiche! E la giustificazione a sprecare altri fondi e “tenere in vita” prodotti di serie B è servita.

Certo, queste ragioni potrebbero essere esposte ad un Ministro della Cultura come madame Filippetti, che potrebbe lucidamente valutare ed agire di conseguenza. Ma se quello stesso ministro afferma che “le leggi del mercato hanno difficoltà a funzionare in generale, come si vede,  figurarsi nella cultura” , e la principale proposta della commissione dal lei stessa incaricata è l’istituzione di una nuova tassa, l’impresa appare quantomai ardua e complessa.

                                                                                                                                                                                                                                          Gianluca Franti  

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